La natura è la prima maestra

Siamo arrivati al primo passo concreto del nostro cammino: iniziamo con la natura, la grande maestra che ci insegna la contemplazione. Andiamo a camminare in mezzo alla natura. Facciamolo nel modo in cui siamo abituati. Poi cominciamo ad andare più piano e fermiamoci. Guardiamo, ad esempio, un albero. Lasciamo che l'albero agisca su di noi, sui nostri sensi. Forse, abbiamo appena cominciato a guardare l'albero che, ecco, in noi sorge un pensiero: quanto sarà vecchio quest'albero? Si tratta di una domanda che viene dalla ragione, dalla testa e che ci trasferisce a livello mentale distogliendoci dalla pura percezione. Quando ce ne accorgiamo, ritorniamo di nuovo ai sensi. Lasciamo ancora che l'albero agisca su di noi. Poi, senza notarlo, può darsi che ci vengano in mente delle domande sulla morte del bosco per le piogge acide o sullo stato di salute di quest'albero. Siamo di nuovo nella mente, allora ritorniamo ancora alla percezione.

Poi ascoltiamo un uccello. Non per sapere dove sia o come si chiami, ma soltanto per far agire su di noi il suo cinguettio.

Facciamo poi attenzione a un po' di terra, che abbiamo preso tra le mani. Ci fermiamo su quella sensazione; se ci distraiamo, ritorniamo alla percezione della terra. Non dobbiamo farci sedurre dalla nostra ragione, poiché sarà facile che sorgano in noi diverse domande: «Da quanto tempo sono distratto? Perché mi sono distratto? Quale pensiero mi sta distraendo?». Tutto questo non ci deve interessare. Quello che conta è che la nostra attenzione continui a essere rivolta alla percezione.

Non c'è nulla di male nel fatto che ci distraiamo. Non appena - ce ne accorgiamo, ritorniamo alla percezione, senza stare a pensare perché o da quanto tempo sia accaduto.

Insieme alla percezione, facciamo anche un'esperienza del tutto nuova: non abbiamo bisogno di conseguire nulla. Il dover ottenere dei risultati, l'essere obbligati a fare o il dover fare ci fanno paura e ci tormentano. Nella contemplazione non abbiamo bisogno di conseguire nulla. Siamo liberati dall'obbligo dei risultati.

Noi rimaniamo in contatto con la natura. Possiamo contemplare l'azzurro del cielo, ascoltare le acque del ruscello che sussurrano, guardare le formiche, meravigliarci della bellezza di un fiore, sentire il vento sul nostro volto o lasciarci colpire dal gioco delle nubi nel cielo. Se da lontano ci raggiunge il rumore di una macchina, possiamo percepire anche questo. Ciò che conta è che non giudichiamo niente e che non vogliamo cambiare niente, ma che accogliamo tutto così come ci si manifesta. Può capitare che ci annoiamo. La noia è un sentimento che possiamo guardare e se ci domandiamo: «Come sento ora questa noia?», allora rivolgiamo l'attenzione dentro di noi e arriviamo alla percezione della nostra noia, allora siamo ancora nella sensazione. Dopo un breve momento, torniamo di nuovo alla percezione della natura.

L'atteggiamento contemplativo genera una calma sorprendente. Tutto ciò che c'è ha il diritto d'esserci. Non abbiamo bisogno di cambiare niente. Lasciamo stare tutto così com'è. Non cerchiamo neanche di derivarne delle conoscenze e non osserviamo: noi guardiamo. Che differenza c'è fra osservare e guardare? Il guardare è disinteressato, l'osservare cerca qualcosa per sé. Conosciamo molto bene questa differenza. Non chiederemmo mai a Dio di osservarci, ma siamo molto contenti se Dio volge il suo sguardo benevolo su di noi. Nella vita eterna non osserveremo Dio, ma vivremo guardandolo nella visione beatifica.